giovedì 27 giugno 2013

Non si può costruire la pace per mezzo della guerra

Pubblichiamo, in più parti, lo studio di Alessandro Bocchero e Paolo Cascinelli sui temi della Pace, della Guerra e della Militarizzazione del territorio (toscano e pisano-livornese in particolare).




Parte Prima

1. Il problema dell'informazione.
Il contesto delle relazioni internazionali pone una serie di quesiti che si intrecciano e si compendiano rendendo spesso difficile l'interpretazione dei dati necessari per una lettura obiettiva degli scenari che regolano i nuovi equilibri planetari. Un quadro dal quale emergono, per occhi distratti o profani, chiavi di lettura parziali e incomplete. Il nodo esiziale resta quello dell'informazione: la reperibilità delle notizie e la natura delle fonti, la validità e la frequenza del dibattito pubblico, i suoi sviluppi o l'assenza di continuità, giocano un ruolo fondamentale nella disinformazione dell'opinione pubblica sui retroscena dei rapporti di forza fra gli stati competitori e le concause che li generano. Per quanto riguarda l'Italia c'è da notare che dopo la caduta del muro e l'adesione incondizionata alla NATO da parte di quelle forze politiche che ne mettevano in discussione modalità e scopi, la qualità complessiva dell'informazione sugli avvenimenti di politica estera, ha subìto una involuzione che attesta il nostro paese su posizioni decisamente omissive e antidemocratiche. Prevale un accordo bipartisan non scritto che dà luogo a un'autocensura nei rapporti tra gli schieramenti politici in teoria alternativi, che annulla di fatto nelle valutazioni e nei comportamenti politico-decisionali le differenze ideologiche. La politica estera è stata espunta da tutti i dibattiti di "approfondimento" televisivo e la diffusione delle notizie viene affidata ai telegiornali tramite le agenzie filo-governative o ai comandi delle alleanze (NATO).


La carta stampata salvo casi sporadici non fa eccezione agli indirizzi prevalenti. Il motivo è palese: NATO, WTO, FMI, con l'aggiunta della UE, rappresentano un unico organismo che spartendosi le sfere d'influenza monopolizza l'informazione arruolando un' opinione pubblica ripiegata esclusivamente sui problemi delle emergenze economiche interne.
Stante questi presupposti è appropriato parlare di manipolazione delle notizie. Budget delle spese militari, concessioni di territori e appoggio logistico per basi militari "alleate", costi delle operazioni di "peace keeping", ingerenza negli affari interni degli stati, rovesciamenti di governi e relative operazioni di guerra, vengono minimizzate e spacciate per necessarie ai fini della sicurezza interna. La parola d'ordine che caratterizza le guerre del nuovo millennio, oltre all'indifendibile costo di vite umane, di distruzione delle infrastrutture e di devastazione dell'ambiente e dei beni culturali, è il silenzio informativo. Non ci sono più resoconti di cronaca né cronologie di immagine, e l'esito è quello dell'occultamento dei reali motivi dei conflitti e delle complicità nel loro svolgimento.
La inosservanza di codici e trattati internazionali e gli stessi dettami dell'ONU sono oggetto di continue violazioni che ne minano la credibilità. Si passa così dopo la fase di giornalismo embedded dei primi anni 90, a una fase di silenzio e di oblìo informativo che tende a rimuovere gli eventi.
Il risultato è duplice: la disinformazione dell'opinione pubblica e l'effetto do not disturb legato a operazioni spacciate per umanitarie o portatrici di nobili ideali, che in realtà nascondono gli interessi e gli orrori di tutte le guerre. Un dato questo, tanto più inquietante considerata l'epoca delle comunicazioni a tutto campo come quella in cui viviamo. Internet non è sufficiente a soffocare il rumore di fondo della propaganda a tutti i livelli, della pubblicità commerciale e dei programmi di intrattenimento che viene propinata a ogni ora del giorno dal sistema dei media, finalizzata al convincimento di trovarci nel "migliore dei mondi possibili" e alla gratitudine verso chi ce lo concede. Sono inclusi in tutto questo l'accettazione della "responsabilità" o del "senso dello stato" nei confronti delle alleanze sovranazionali e il tacito ma poco subliminale "premio" in termini economici e di sicurezza, nell'essere fiancheggiatori degli stati più forti economicamente e militarmente guidati dagli USA. Questi ultimi hanno raggiunto una potenza militare senza precedenti nella storia per cui parlare di Impero in senso classico risulta quasi riduttivo. La potenzialità militare di questa nazione (e la spesa esorbitante destinata agli armamenti cui vengono costrette anche le potenze concorrenti), ha una dimensione che è più corretto definire planetaria. Attraverso di essa colonizza il resto del pianeta in maniera tutt'altro che indolore. Si scelgono però in un copione supercollaudato, nemici infinitamente più deboli (e non a caso detentori di materie prime) per l'esportazione dei principi democratici o umanitari, perché nel mondo globalizzato la distruttività degli armamenti non è solo monopolio di uno stato pur elevato a superpotenza. La partita si gioca infatti con le cosiddette potenze emergenti come la Cina, considerata la più accreditata rivale , l'India e la dismessa potenza sovietica che è oggi la Russia, che determinano la competizione globale e la corsa all'accaparramento delle risorse. La teorizzazione e la pratica della guerra infinita di Bush rispondono a questa "esigenza". Il primato mondiale in vista del controllo dei mercati e del reperimento delle risorse energetiche residue. In questo non fa eccezione come potenziale concorrente rivale nemmeno l'Unione Europea.
Per una forza dichiaratamente antiliberista, si pone quindi sia il problema della pace e della cooperazione internazionale, sia quello di una corretta informazione che dia la possibilità di valutazioni più obiettive e corrette.
Il trincerarsi dietro forme revansciste di patriottismo, di razzismo e di dispregio verso culture e popoli diversi, crea un clima di intolleranza alla base di tutte le forme di prevaricazione. La visione occidentale-centrica (in verità assai interessata) portava a identificare nel comunismo "l'impero del male", ovvero il nemico da battere. Ad esso si è sostituito un altro nemico che ha la stessa desinenza grammaticale ma che si chiama "Terrorismo". Manipolandone il significato terminologico e traslandone la negatività semantica sui soggetti prescelti, si compie un'operazione mediatica apparentemente legittima che in realtà presiede agli obiettivi prefissati, affatto nobili e legali.
Le procedure sono in primo luogo di ordine culturale e sempre tendenti al convincimento dell'opinione pubblica. In un cliché supercollaudato, nel caso degli Stati Uniti si fa sempre riferimento a due aspetti storico-culturali radicati nel senso comune o nell'immaginario collettivo. Dall'epopea del West: stati canaglia sono quelli che rifiutano le direttive provenienti dal centro dell'Impero detentore-elaboratore delle leggi ed evolutosi a "impero del bene". La taglia sui capi di stato nemici, Noriega, Saddam, Milosevic Gheddafi (inesorabilmente ex alleati) estesa in un impeto calvinista anche ai familiari.


L'altro aspetto è quello riconducibile alla II Guerra Mondiale. La patente di" liberatori" è sancita dopo 70 anni, anche nel caso dell'appoggio alle peggiori dittature, o nonostante Hiroshima e Nagasaki , nonostante i milioni di morti disseminati in Corea e in tutto il Sud-Est asiatico (Vietnam -Cambogia- Laos-Thailandia) e le centinaia di migliaia in tutto il continente latino-americano al solo scopo di preservare le popolazioni dall'infezione comunista o da qualsiasi istanza che ne ricordasse i connotati: organizzazioni sindacali, sistema elettorale, partecipazione popolare alla vita politica, rifiuto delle sperequazioni, riforme sociali. Qui la definizione di "pulizia etnica" "operata da squadroni della morte" alle dipendenze di Washington, elaborata ad hoc da un'agenzia di pubbliche relazioni nel caso della ex Yugoslavia, non era stata ancora coniata. Ancora una volta per i nemici esposti alla gogna mediatica senza possibilità di difesa, si ricorre al richiamo storicizzato che riconduce all'automatismo del sentimento comune di riconoscenza verso i liberatori: Saddam era stato unanimemente classificato l'Hitler del Golfo. Una copertina di Panorama diretto da Carlo Rossella lo aveva raffigurato nell'icona frankensteiniana con i punti di sutura nel cranio della creatura resuscitata. Lo scalpo dei due figli uccisi fu esposto in pubblico. Anche l'ex presidente serbo Milosevic, lasciato morire in carcere prima della definitiva udienza processuale, era stato classificato come dittatore. Nonostante fosse stato eletto per due mandati e senza la presenza di portaerei nell'Adriatico, contrariamente al suo successore Dijndic. Anche in questo caso furono adottati entrambe gli schemi classici: la taglia per la cattura saldata in due tranches e la reidentificazione di Hitler dei Balcani. 
Per l'Italia, mai dismesso paese di frontiera che ospita dislocate sul territorio nazionale decine di basi statunitensi, vale ricordare la correlazione tra la stagione dello stragismo che da Portella della Ginestra fino alla stazione di Bologna, ha sempre coinciso con la crescita del movimento operaio nel dopoguerra. La memoria corta non aiuta a ricostruire le motivazioni alla base delle azioni dei servizi segreti deviati dello stato e le varie organizzazioni illegali, collegati con quelli di oltreoceano. Mentre si stornava l'attenzione dell'opinione pubblica sul fasullo "rapporto Mitroki"n in realtà si gettavano le basi di una nuova stagione di appiattimento analitico, complice delle successive avventure militari, con i risultati cui assistiamo di una completa mancanza di critica e di informazione.




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