domenica 15 settembre 2013

Non si può costruire la pace per mezzo della guerra




Parte seconda

La NATO.
Nel 1949 il trattato costitutivo della NATO aveva carattere strettamente difensivo e si rifaceva all'art.51 della Carta ONU che prevede l'uso della forza esclusivamente a scopo difensivo nel caso in cui uno Stato debba difendersi da un attacco armato e non nel caso in cui l'attacco sia imminente ma non attuale. Nel primo mezzo secolo la NATO si attenne a questa dottrina. Negli anni 70/80, con il progressivo tramontare della potenza sovietica, la NATO si è fatta spiccatamente offensiva. La trasformazione radicale dello statuto dell'Alleanza è avvenuta il 24 aprile 1999. Da trattato eminentemente difensivo, l'alleanza si è trasformata ufficialmente in forza di intervento globale, ampliando aree e motivazioni di intervento. Al centro di questa trasformazione vi è il "Nuovo concetto strategico", che prevede l'utilizzo delle forza come strumento di gestione delle crisi, l'intervento e la proiezione della forza estesa alla periferia dei paesi membri e a tutte le aree in cui si preveda il pericolo di interruzione del flusso di risorse energetiche. Questo ruolo decisamente offensivo ha prodotto la "guerra umanitaria" nella ex Jugoslavia, l'intervento in Irak e l'invasione dell'Afghanistan, tuttora in corso, che vede anche la partecipazione dell'Italia.
Oggi le ragioni di una partecipazione dell'Italia sono passate da difensive a offensive a conferma del controllo egemonico che si prefigge l'alleanza. Le strategie messe in atto dalla NATO si fondano su interventi militari che svincolano la sicurezza dalla pace e si realizzano nell'occupazione dei territori di altri popoli. L'intervento militare in Libia dove la situazione, nonostante il silenzio mediatico, è tutt'altro che pacificata è dimostrata dalla partenza per Sigonella di un nutrito contingente di marines avvenuto nei giorni scorsi. Nell'eventualità tutt'altro che remota di un coinvolgimento militare diretto in Siria, (le implicazioni nell'attuale guerra civile siriana sono note) e in futuribile attacco all'Iran, l'Italia sembra ancora una volta destinata a svolgere un ruolo di primo piano oltre che di partner militare, come base logistica o "portaerei" di tutta l'area mediterranea e mediorientale. Ci sembra importante cercare di capire che cosa è la Nato oggi; uno strumento di copertura politica per i crimini di guerra di alcune nazioni? Un centro di potere politico ed economico? Un tavolo di mediazione di interessi tra nazioni e potentati? Il ramo commerciale dei produttori di armi? Un racket dove si offre protezione in cambio di un pizzo politico? Uno strumento di penetrazione economica? Una SpA della guerra come ampio core business dove a decidere è l'azionista di maggioranza? Sicuramente tutto questo e altro ancora…
Inoltre è utile riportare l'attenzione su questioni, teorizzate e applicate dai generali atlantici, che vanno "oltre la guerra" al terrorismo; quali il controllo della cooperazione civile per fini militari, le tecniche di gestione del nemico interno e il peso economico che esercitano sulle società le strutture dell'alleanza attraverso la gestione dei bilanci militari e degli apparati industriali che lavorano per la cosiddetta difesa. Senza dimenticare la questione non secondaria degli armamenti atomici e dello scudo antimissile nella versione obamiana. Un richiamo anche agli stretti rapporti tra la politiche militari della Nato e dell'Unione Europea che ci permette di evidenziare come a volte sia l'UE a fare da apripista alla Nato, in particolare nel tentativo di sottrarre ai parlamenti il controllo degli interventi militari.
Per l'Italia mostrarsi un fedele alleato comporta scelte economicamente e socialmente costose, quali la ristrutturazione delle proprie forze armate verso modelli sempre più economicamente gravosi e militarmente aggressivi, secondo quanto prevedono i dettami atlantici e il mantenimento di un dispendioso complesso industriale per costruire armi e fornire dividendi agli azionisti. Il tutto per poter poi partecipare, per puro calcolo politico o anche solo elettoralistico, alle guerre decise degli alleati.


Le spese militari nel Bilancio 2013
In un contesto di riduzione della spesa pubblica e dei servizi ai cittadini, sanciti da tagli sia ai ministeri,sia agli enti locali, sia da provvedimenti come la Spending Review , risalta invece che il ministero della Difesa riesce a mettere a bilancio un aumento del proprio budget nel prossimo triennio. Il bilancio del ministero passa infatti dai 19.962 milioni dell'esercizio 2012 a 20.935 di euro nel 2013, fino a 21.024 milioni di euro nel 2015. In tre anni, il ministero della Difesa aumenta del 5,3% le proprie risorse, pari a più di un miliardo di euro. Il modello di difesa, aldilà dei limiti della Legge di Bilancio, prevede da oggi al 2024 la riduzione degli organici dell'esercito di 40mila unità (da 190mila a 150mila soldati, anche se oggi il numero complessivo dell'esercito non supera le 183mila unità) e la riduzione del personale civile a 20mila unità, dalle quasi 30mila in servizio oggi. La visione del ministero consiste nel risparmiare risorse di personale per raggiungere un modello di spesa meno orientato alla manodopera e più agli investimenti. Inoltre, nella Legge di Bilancio ritorna il tema della presenza militare italiana all'estero, voce peraltro fuori dai capitoli di spesa del ministero della Difesa. Il ritiro dall'Iraq ha ridotto l'impegno italiano a circa 6600 unità (oltre 2000 in meno rispetto al 2007). Per il futuro lo stesso governo Monti impegna per il 2013 oltre un miliardo di euro per le missioni militari all'estero, lanciando un segnale preoccupante per quanto riguarda sia gli oneri, sia le scelte di politica estera e di ricorso allo strumento militare già per il 2013.
(Da rapporto di Sbilanciamoci 2013 e dall'Articolo "Riconvertiamoci" di Gianni Aliotti")

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